23 March 2018

PIÙ LUCE! - La visione grandangolare di Lawrence Ferlinghetti (traduzione di Gabriele Nero)






La mia ex-moglie è stata l'ispirazione per Against the Chalk Cliffs. Le scogliere sono vicino spiaggia di Bolinas, in California, dove passavamo del tempo quando vivevamo a North Beach, a San Francisco. Le scogliere non sono in realtà di gesso ma ho sentito che il "gesso" nel titolo conferiva al quadro un senso di fragilità e vulnerabilità. La sentivo fragile. L'ho dipinto nel mio primo studio a San Francisco, al 9 di Mission Street vicino all'Embarcadero (l'edificio Audiffred). Ho ereditato lo studio di Hassel Smith, il pittore figurativo che si era rivolto verso il non obiettivo. C'erano altri pittori del movimento figurativo di San Francisco sullo stesso piano, tra cui Frank Lobdell. Era uno studio magnifico, un grande loft al terzo piano con vista sulla baia. Non c'era riscaldamento se non per una piccola stufa a carbone e, al piano di sopra  non c'era nemmeno l'elettricità (proprio come Parigi, la città da cui ero appena andato via). L'affitto era di $ 29 al mese. Al secondo piano c'era il club "Seven Seas" degli Alcolisti Anonimi e, durante il Great Harbor Strike degli anni '30 (il grande sciopero dei portuali, ndt), anche alcuni dirigenti sindacali come Harry Lundgren o Harry Bridges avevano i loro uffici lì.


"Tutto quello che volevo era dipingere la luce del sole sulle facciate delle case", disse Edward Hopper (o qualcosa del genere) e c'erano legioni di poeti e cineasti ossessionati dalla luce. Concordo perfettamente con quel visionario romantico e irrazionale che dice che la luce venne prima di tutto, e che l'oscurità non è che un'ombra fugace che deve essere eliminata con più luce. ("Più luce!" Gridò il poeta in punto di morte). Poeti e pittori sono portatori naturali di luce e tutto quello che volevo fare era dipingere la luce sui muri della vita.

Non ho mai voluto essere un poeta. La poesia ha scelto me, io non l'ho scelta. Quando diventi un poeta, lo fai, se non contro la tua volontà, contro il tuo buonsenso. Volevo fare il pittore ma, da quando avevo dieci anni, queste maledette poesie non hanno più smesso di manifestarsi. Forse un giorno mi abbandoneranno e potrò riprendere a dipingere.

Door to the Sea, un quadro molto grande, è vagamente ispirato alla Door to the River di Willem de Kooning. È iniziato come un dipinto totalmente astratto, ma mi resi conto che si erano insinuate delle figure umane. Crescendo a New York, mi sono identificato, ovviamente, con gli espressionisti astratti di New York, che erano i miei contemporanei, e, all'inizio, ho provato a dipingere come Kooning e Franz Kline e Robert Motherwell ma, in realtà, non avevo più la loro stessa visione da quando questa figura umana (uomo o donna) emerse dalla tela. Più tardi, ho espresso questo conflitto in un dipinto intitolato Triumph of the New York School, una grande tela con forme lineari nere sovrapposte a figure umane. Faccio una netta distinzione tra "non oggettivi" e "astratti". Un dipinto non oggettivo non è una ''astrazione'' di un oggetto o di una scena corrente. È una nuova creazione che non ha alcun riferimento al di fuori di essa. In questo modo, "espressionisti astratti" è un nome inappropriato, ma è così che sono diventati noti, a causa della semantica trascurata di alcuni critici.



Il piacevole sole dell'impressionismo crea poesie di luce e ombre. La luce spezzata dell'espressionismo astratto crea poesie di caos.

Le immagini appaiono e scompaiono nella poesia e nel dipinto, escono da un vuoto oscuro e rientrano, messaggeri di luce e pioggia, alzano le loro lampade scintillanti e svaniscono in un istante. Ma possono essere intravistieabbastanza a lungo da essere immortalati come le ombre sulle pareti della caverna di Platone.

Il titolo Manhattan Transit è adattato dal libro di John Dos Passos. Anch'esso è stato dipinto al 9 di Mission Street. A quei tempi, prima che Gesso arrivasse sul mercato, i pittori ricoprivano le loro tele grezze con colla di pelle di coniglio. Ho riscaldato la pentola di colla sulla stufa a carbone. Questo è uno dei tre o quattro quadri astratti che ho fatto negli anni Cinquanta, in un momento in cui davvero non sapevo come disegnare. È stata una facile via d'uscita. (Quanti altri aspiranti pittori hanno fatto lo stesso!)



Attraverso l'arte, crea l'ordine al di fuori del caos della vita.

I disegni a carboncino erano basati sulle pose di un minuto di modelli di studio, generalmente definiti "disegni gestuali", e furono realizzati negli anni Ottanta e Novanta nel mio studio su Hunters Point Shipyard, a San Francisco. Al disegno originale, avevo aggiunto dopo aggiunto un'altra faccia o corpo, nel tentativo di concedergli un po 'di ambiguità o mistero. Non perché non ci sia abbastanza mistero in un corpo nudo di una donna o di un uomo.



Ad ogni modo, cosa fa un corpo nudo sulla terra e qual è la sua esistenza misteriosa? Oltre a ciò, c'è quello che viene solitamente chiamato "il mistero della donna", un concetto romantico che l'ha dotata di un'attrazione irraggiungibile e imperscrutabile, sia sessuale che spirituale. In seguito, la rivoluzione femminista ha fatto scendere la Donna dal suo piedistallo. Ma il corpo rimane lo stesso.

Mantieni un'ampia visione angolare: ogni sguardo è uno scorcio di mondo. Esprimi l'immensità del mondo là fuori: il sole che ci vede tutti, la luna che sparge ombre su di noi, i tranquilli stagni da giardino, i salici dove canta nascosto il tordo, il crepuscolo che cade lungo il fiume che scorre per infiniti spazi che si aprono sul mare ... l'alta marea e i versi dei gabbiani... E poi  la gente, sì, la gente, sparpagliata per tutta la terra e che parla lingue babeliche. Dai voce a tutti loro!



Oh Pocahontas, Pocahontas! Ha lo scopo di esprimere la mia compassione per questa giovane nativa americana e tutto ciò che ha sofferto per mano di corteggiatori bianchi e sfruttatori. Questo dipinto non ha nulla a che fare con la precisione storica. Le immagini di Pocahontas di questo dipinto sono immagini di ricordi in un libro per bambini che devo aver letto quando avevo circa dieci anni. In tutti questi anni ho portato questo piccolo tableau in giro, pronto ogni volta a essere proiettato nel mio cervello . Queste istantanee compongono la nostra memoria e quando vengono lanciate su una tela, anni dopo, tornano in vita con tutta la loro intensità originale (se il pittore è abbastanza bravo da saperle catturare).



Lovers è un altro quadro molto grande, in cui è rappresentata probabilmente la modella più bella che abbia mai avuto nel mio studio, una giovane donna dai capelli, che probabilmente sta posavaper la prima volta. C'era freschezza e purezza in lei. Più tardi, ho aggiunto la testa di un uomo barbuto e un po 'più grande di lei, forse immaginando cosa sarebbe successo nel suo futuro.



La poesia è la distanza più breve tra due esseri umani.

L'arte non è casuale. Il caso non è arte, se non per caso.

La luce del sole della poesia proietta ombre. Dipingi anche quelle.

Dipingi come un demone sveglio, ossessionato. Ciò che è importante in un quadro sono le sue affascinanti e misteriose manifestazioni di vita. Allora dimmi cos'è la vita per te nella tua pittura. Appassionati! Eccitati! Non fermarti! Eccita l'immaginazione!



This Is Not a Man è chiaramente un gioco riferito a Ceci n’est pas une pipe il quadro di René Magritte. Tuttavia, il dipinto non ha nulla a che vedere con il francese. La vera storia risale agli anni quaranta, quando uno dei miei fratelli era l'assistente del direttore nella prigione Sing Sing sull'Hudson, a New York. Doveva assistere a tutte le esecuzioni sull'orribile vecchia sedia di legno con i suoi cavi elettrici, spesse cinghie di cuoio per braccia e gambe, e un casco pesante. Era uno scenario spaventoso anche senza un uomo seduto sopra. Dopo che mio fratello morì, tra le sue carte c'era una foto in bianco e nero di un uomo sulla sedia che stava per essere fritto. Sul retro della foto, scritte a matita, c'erano le istruzioni per l'esecutore: "Metti gli elettrodi alla testa e alle gambe, ecc." Ho serigrafato la foto su una tela e poi l'ho dipinta. È stato utilizzato in una campagna globale contro la pena di morte ed è ancora a disposizione per tale uso. Ma la barbarie continua. Avanti avanti, soldati cristiani! Uccidi o verrai ucciso! In 2012 anni di Cristianesimo siamo stati in grado di mantenere intatto il nostro istinto più selvaggio.



Quello che ho in mente è l'arte come uno spazio per approfondire il destino dell'uomo.



"Ho sconfitto il mio esilio" è sempre stata una delle mie citazioni preferite di Ezra Pound - l'ultima parola sul suo lungo espatrio. Tanta vita è rinchiusa in quella linea di poesia! È forse una dichiarazione di vita quasi altrettanto forte di quella di Dante "Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura". Il mio studio astratto sulla testa di Pound si basa su un disegno altrettanto astratto di Gaudier-Brzeska sulla copertina dell'edizione New Directions di Pound, Personæ. Oltre all'originale che possiedo ancora, esistono solo altre tre copie, leggermente più piccole: una alla libreria City Lights di San Francisco, una alla New Directions a New York, e una di proprietà della figlia di Pound, Mary de Rachewiltz, nel nord Italia. L'ho visitata quasi dieci anni fa. Comprensibilmente, avrebbe potuto essere arrabbiata con me per la mia rauca critica di Pound in Americus: Book I, ma evidentemente è stata contenta del mio ritratto . Difende con valore la memoria di suo padre, naturalmente.



L'arte deve farcela da sola, senza spiegazioni, e la stessa cosa per la poesia.  Se la poesia o il quadro devono essere spiegati, allora c'è qualcosa che non va nella comunicazione.


Lawrence Ferlinghetti
Traduzione: Gabriele Nero






22 March 2018

Emanuel Carnevali: el poeta oscuro que molestó a América - Juanjo Monsell (Español)





Manuel Federico Carlo Carnevali nació en Florencia el 4 de diciembre de 1897, hijo de Tullio Carnevali (Lugo, 1869) y de Matilde Piano (Turín, 1873). Emanuel, Em o Manolo, como era llamado, llegó al mundo después de que sus padres se hubieran separado. Su infancia transcurrió entre Pistoia, Biella y Cossato. Tras la muerte de su madre en 1908, el padre, que se había casado de nuevo, quiso que Carnevali se uniese a su nueva familia en Bolonia. En 1911 Carnevali obtuvo una beca de estudios del Collegio Marco Foscarini de Venecia, donde pasó dos años antes de ser expulsado. En 1913 ingresó en el Instituto Técnico Pier Crescenzi de Bolonia, donde fue alumno del crítico literario y narrador Adolfo Albertazzi. Esta relación con el maestro, no siempre pacífica, significará para Carnevali una primera confirmación de su vocación literaria. 



Tal y como narra él mismo en su novela Il primo dio, escrito en inglés y traducido al italiano por su hermanastra Maria Pia (hija de su padre y de su nueva esposa), decidió emigrar a los Estados Unidos en 1914, con solamente dieciséis años, a causa de los continuos enfrentamientos con el padre, al que consideraba autoritario y demasiado reaccionaria. Carnevali partió desde Génova con el Caserta el 17 de marzo de 1914 y llegó a Nueva York el 5 de abril.



Vivió hasta 1922 entre Nueva York y Chicago, al principio sin conocer una sola palabra de inglés y desempeñando trabajos temporales: friegaplatos, dependiente de una tienda de comestibles, camarero, limpiador de suelos, paleador de nieve, etc… Sufrió el hambre, la miseria y privaciones de todo tipo. Con el tiempo aprendió la lengua (leyendo los carteles comerciales de Nueva York), comenzó a escribir y a enviar sus versos a todas las revistas que conocía. Inicialmente rechazadas, sus poesías comenzaron poco a poco a ser publicadas y Carnevali se dio a conocer en el ambiente literario y trabó amistad con varios poetas como Max Eastman (1883-1969), Ezra Pound, Robert McAlmon (1896-1956) y William Carlos Williams (que lo nombra en su Autobiography del 1951). 

Olvidado por la crítica y el público, ha dejado un pequeño pero tajante y fuerte rastro en la literatura americana del siglo XIX. Viviendo en la miseria, pasando de un trabajo a otro, de un amor a otro, frecuentando prostitutas y matones, logró ser parte, como extranjero, de la renovación de la vanguardia literaria americana de la época. 

Publicó un solo libro en vida, Tales of an hurried man (1925), después abandonó Nueva York y a Emilia Valenza, la mujer de origen piamontés con la que se había casado en 1917 y que vivía con él en el East Side de Manhattan, para marcharse a Chicago, donde continuó pasando penurias, traduciendo y colaborando en «Others». 

Afectado por una enfermedad nerviosa, la encefalitis letárgica, en 1922 volvió a Italia, donde vivió sus últimos veinte años entre el hospital y varias pensiones de Bazzano, el Policlínico de Roma y la clínica boloñesa Villa Baruzziana, y donde continuó escribiendo, como siempre, en inglés. 

Murió el 11 de enero de 1942 en la Clínica Neurológica de Bolonia, ahogado por un trozo de pan. Dos días después fue sepultado en Bolonia en el Cimitero della Certosa.




Hay dos palabras que podrían definir la escritura de Emanuel Carnevali: multiplicidad y fractura. La multiplicidad hace referencia no únicamente a la variedad de géneros literarios practicados por el autor durante su corta vida (no escribió únicamente poesía, también se dedicó al ensayo, al cuento y a la novela), sino también (y sobre todo) a su condición de inmigrante/emigrante. Carnevali decide emigrar con únicamente dieciséis años hacia un país con una cultura y una lengua completamente desconocidas para él. Este hecho le obliga, debido a su vocación y ambición literarias, a verter todo el contenido artístico aprehendido a través de su lengua materna, el italiano, en un nuevo continente, la lengua inglesa, que, totalmente ignorada por el autor, se convierte en un vector de difícil maleabilidad. Sin embargo, su actitud rimbaudiana con respecto a la estética propia (antes sucumbir que renunciar a ella), su afán de dominio del idioma extranjero y su necesidad imperiosa y narcisista de hacerse oír, lo llevan a penetrar en las profundidades de la lengua inglesa y a controlarla desde su interior. 

Pese a su voluntad de convertirse en un poeta estadounidense (él mismo afirma en una de sus cartas haber renegado de los grandes escritores de su tierra y haber renunciado a los estándares literarios italianos en favor de los estadounidenses), su tono italiano permanece en sus escritos de un modo indeleble. Este hecho es el que lo convierte en un escritor ambiguo y fluctuante, atrapado en una multiplicidad de voces que se abren paso entre sus versos. En cierto modo, Carnevali forma parte de estas dos tradiciones literarias, la italiana y la estadounidense, sin pertenecer a ninguna de las dos. Ambas lo rechazan e impiden su inclusión en el canon; la italiana debido a la renuncia a sus raíces y a su fuga y la estadounidense debido precisamente a la imposibilidad de desligarse de sus raíces y a su distancia con respecto a la cultura oficial del país de recepción. Carnevali queda, por tanto, atrapado entre dos culturas con pocos puntos de conexión. Es cierto que logra aprender la lengua inglesa en las calles de Nueva York leyendo los carteles publicitarios, pero los ojos que los leen no pueden dejar de ser italianos. Es quizás por ello por lo que Carlos Williams lo definió como ‘’el poeta negro, el hombre vacío, la Nueva York que no existe’’. Carnevali es el poeta negro porque canta sus versos desde la oscuridad de la miseria, es el hombre vacío porque está hundido en el desarraigo y carece de identidad y es la Nueva York que no existe porque el cerebro que procesa la ciudad no es neoyorquino, sino florentino. 


Esta personalidad híbrida del autor no es más que una marca de una fractura, es decir, muestra la imposibilidad de unión de las dos culturas y lenguas entre las que transita. En lugar de actuar como puente entre estas dos culturas, la obra de Carnevali no es más que un hiato entre ambas. No logra entrar en la esfera cultural mayoritaria, la estadounidense, debido a su condición de inmigrante, que anula la posibilidad de integración, y, al mismo tiempo, queda fuera de la esfera cultural minoritaria, la italiana, debido a su condición de emigrado, condición que el autor se impone motu proprio al alejarse de sus raíces. El peso de sus orígenes supone un lastre para la consecución del objetivo primordial de Carnevali: la conversión en un escritor estadounidense y la aceptación del espacio cultural dominante de este hecho. El autor paga, por tanto, las consecuencias de la pérdida parcial de identidad que supone el desarraigo y queda encarcelado en la consideración por parte de la crítica de su obra como obra de un autor italiano escrita en inglés y, por ello, relegado al olvido literario. 

El valor artístico de su obra será reconocido de forma póstuma y el autor será encajonado en lo que hoy en día se llama literatura de la emigración, espacio ubicado en tierra de nadie que queda reservado a aquellos autores que jamás han logrado pertenecer a un canon bien definido debido a circunstancias literarias o vitales que los han obligado a permanecer a caballo entre dos culturas o lenguas diferentes. 



El primer rasgo destacable en lo relativo al aspecto formal dentro de la obra de Emanuel Carnevali y, concretamente, dentro su poesía, es el idioma utilizado para vehicular la expresión de sus sentimientos y pensamientos. El andamiaje colocado alrededor de la obra del autor italiano para sostener sus cimientos, es la lengua inglesa. Mediante esta, Carnevali intenta manifestar el fruto obtenido del proceso de antagonismo y síntesis de una realidad exterior percibida en inglés y una realidad interior sentida en italiano. Este conflicto de integración y oposición entre ambas realidades lingüísticas proviene de un plano existencial y biográfico. La lengua que necesita dominar para sobrevivir y entregarse a su vocación literaria es el inglés, pero, sin embargo, a través de los vocablos de origen germánico, se infiltra de un modo inevitable una clamorosa latinidad. Es fácilmente palpable la presencia de una retórica verdaderamente potente y de una ingente cultura heredada debido a los orígenes italianos metabolizados por el poeta: la aparición del mito y de la clasicidad propios de la cultura italiana son motivos recurrentes dentro de la obra. 

El universo estadounidense es aprehendido y apreciado por parte del poeta a través de la crudeza que presenta. De hecho, en sus poemas puede apreciarse claramente la consideración de la realidad exterior como amenazante y peligrosa. Carnevali debe adaptarse a ella por motivos de supervivencia, pero, al mismo tiempo, es consciente de la no pertenencia a dicha esfera. Este sentimiento de extrañeidad aflora entre sus versos en múltiples ocasiones al utilizar como motivo poético, por ejemplo, la ciudad o la sociedad estadounidense, de las que habla desde una posición completamente distanciada y con ojos ajenos a ellas. El hecho de no ser parte del universo estadounidense permite a Carnevali realizar una crítica y un análisis más certeros del panorama que descubre ante sus ojos una vez desembarcado en Norteamérica. El país que prometía ser la tierra de las oportunidades le ofrece una imagen bastante diferente a la preconcepción: el hambre, la miseria y la deshumanización invaden las calles de las grandes metrópolis estadounidenses. En muchos de sus poemas, estas imágenes son contrapuestas a las de su Italia natal, considerada como su Arcadia particular. Italia representa la unión con la tierra y la preponderancia del sentimiento, mientras que los Estados Unidos representan el desarraigo y la deshumanización del hombre. En cierto modo, el cambio de escenario y el modo de vida del país de acogida afectan y moldean la persona de Carnevali. Por ello, el poeta pasa de una idealización del amor hasta límites prácticamente platónicos a la reducción de este a su materialidad más inmediata. El amor se transmuta de sentimiento en mujer y, de mujer, en carne. Los encuentros sexuales (y, por tanto, las infidelidades a su esposa) con las prostitutas de los callejones neoyorquinos son otro de los motivos recurrentes en la obra poética del autor. Junto a ellas, representantes carnales de los suburbios estadounidenses, aparecen citados múltiples personajes característicos de esos mundos y que forman parte de la cotidianeidad del autor, tales como mendigos, ladrones y borrachos. 


El motivo que lo lleva a frecuentar los arrabales no es únicamente material (es decir, económico), sino también estético y moral. Dos de los autores que mayor influencia ejercieron en el poeta fueron Rimbaud y Nietzsche. Del poeta francés, Carnevali asumirá la consideración del arte como valor supremo de la vida y del artista como único ser capaz de vivir; llevando estos preceptos hasta su culminación, Carnevali aceptará la aprehensión de la realidad desde todas las perspectivas posibles, es decir, asume como única razón de existir el arte y reconoce todas las perspectivas posibles como necesarias para la aprehensión de la realidad, hecho que le lleva a anteponer el valor estético de la vida al económico. Esto está estrechamente ligado a la influencia de Nietzsche, del que toma el grito de revuelta y la conquista de la independencia, por lo que, en lugar de pasar sus días en museos y bibliotecas, tal y como muchos de los escritores pertenecientes a la cultura oficial hacían, él pasará sus noches en tabernas juntos a personas alejadas por completo del mundo de la cultura, tratando de penetrar en la existencia y llegar hasta el fondo de esta. 

09 March 2018

VALENCIA WALLS & WORDS VOL.II - Pamela Vargas


"Continuando con la muestra fotográfica sobre los muros de Valencia, llega al público la segunda versión de Valencia Walls & Words con imágenes que incluyen no solo muros de Ciudad Vieja sino que también de los distritos de Benimaclet, La Saidia y Extramuros, al igual que en la primera versión del Valencia Walls & Words 1, en este libro quisimos acompañar  ciertas imágenes con reflexiones de grandes pensadores de la historia, las fotografías datan desde el 2016 hasta principios del 2018. Cabe señalar que, debido a la fugacidad intrínseca de estas intervenciones murales, es muy improbable ver a tiempo real el grafiti de la misma forma en que fue retratado en este álbum; de ahí la motivación al crear esta colección de instantáneas que logran acercar los espacios públicos a los habitantes y a los visitantes de esta ciudad."








04 March 2018

OBJETOS PERDIDOS - Lupe Bohorques Marchori

Objetos Perdidos, es la reunión en un solo volumen de dos libros de poemas y uno de aforismos, escritos entre los años 1982 y 2012. El primer libro, Pasiones se divide en tres partes: Juego de damas, (poemas amorosos); Poemas de la tierra (poemas de las pasiones y emociones vitales) y Retratos, que incluye las pinturas individuales de algunas mujeres que han marcado la vida del autora o retratos colectivos de escenas de la vida cotidiana. El segundo libro, Tres Cerillas es la historia íntima de un solo encuentro, un libro que narra una historia amorosa en prosa poética; y el tercer libro Miniaturas es un divertimento, un libro de aforismos que culmina con un abecedario personal y reivindica el papel del humor en la literatura. Los tres libros forman una trilogía con un movimiento que se inicia en el dolor, atraviesa la pasión y culmina en el humor. 



Lupe Bohorques es poeta, narradora y docente. Nació en Valencia y vivió varios años en Londres donde estudió Derecho y Literatura y fue letrista del grupo pop “The Mistery School”. Ha colaborado con numerosas publicaciones en verso y prosa y ha sido galardonada con varios premios literarios. Actualmente combina la docencia en la Universidad Europea de Valencia con la escritura. Entre sus publicaciones destacan el Diario de una Voluntaria (Tirant Lo Blanch), Tres Cerillas y La imagen de la mujer en la poesía de Neruda (Tirant lo Blanch).


Abelardo Muñoz en la Cartelera Turia (Marzo 2018)






17 February 2018

John Fante: el escritor más italiano de América - Gabriele Nero (Español)

"Un día me acerqué a los libros y saqué uno del estante. Era Winesburg Ohio. Me senté a una larga mesa de caoba y me puse a leer. De repente se me transformó el mundo. El cielo se me vino encima. El libro me conquistó. Me saltaron las lágrimas. El corazón me latía con fuerza. (...) Leí sin parar, y me sentí tocado en lo más hondo, y solo, y prendado de un libro, de muchos libros, hasta que el fenómeno se produjo con naturalidad, y me instalé con lápiz y papel y me puse a escribir, hasta que no supe que no podía continuar porque las palabras no fluyan, si no que se limitaban a caer como gotas de sangre de mi corazón"  John Fante, "Los Sueños de Bunker Hill"

Holden Caulfield, el protagonista de “El guardián entre el centeno”, para juzgar a un escritor, tenía un método infalible: empezaba leyendo un libro, creaba un diálogo imaginario con el escritor, para terminar el libro preguntándose “¿este tipo podría ser mi amigo?" o "¿me gustaría llamarlo para que me hablara de su vida?". Bueno, personalmente hubiera estado horas escuchando a John Fante contar las historias imposibles de su familia, con John Fante me hubiera pegado una gran comida de spaghetti acompañados de una buena botella de vino tinto y con John Fante hubiera salido de fiesta, incluso solo para una copa en uno de sus absurdos bares de la periferia de Los Ángeles.


Desde la periferia del mundo empezó la historia de John Fante (así como la de su álter ego literario Arturo Bandini), desde Torricella Peligna, un pequeño pueblo en las montañas de los Abruzos, del que su padre, Nicola Fante, albañil, se marchó a principios del siglo XX para buscar fortuna en América. La familia Fante se instaló en Denver, Colorado, en la región del Mid West, donde los inviernos son largos y llenos de nieve, en las afueras del sueño americano, en definitiva, en los Abruzos de América. Aquí los Fante construyeron su Little Italy, hecha de espaguetis y de vino tinto, de deudas de juego y de viejas vestidas de negro, de misas dominicales y de blasfemias en italiano. Pero John Fante era ambicioso y, a pesar de tener veinte años en los años de la Gran Depresión, él nunca dejó de creer en su talento. Fante y Bandini tenían un gran sueño en común: Los Ángeles, California.

"Yo conocía el sufrimiento de su alma y me compadecía de ella. Estaba sola, con las raíces colgando en una tierra extraña. No quería venir a América, pero mi abuelo no le había dado otra opción. También en los Abruzos había pobreza, pero era una pobreza más dulce que todo el mundo compartía, como el pan que se pasa en la mesa. También se compartía la muerte, y el dolor, y los buenos momentos, y la aldea de Torricella Peligna era como un único ser humano. Mi abuela era un dedo arrancado a aquel organismo y nada podía aliviar su desolación en la nueva vida que llevaba. Era como todos los que habían llegado de su rincón de Italia. Unos iban tirando, otros eran ricos, pero de su vida había desaparecido la alegría y el nuevo país era un lugar solitario donde "O sole mio" y "Vuelve a Sorrento" eran canciones tristes."

En todos los relatos de Fante, también en otros en los que el protagonista no se llama Bandini, siempre hay un autobús que coger, un viaje para empezar, un lugar donde llegar, una ciudad en la que demostrar todo el valor de Arturo Bandini, y que casi nunca logra expresar en su totalidad. Jugador de béisbol, guionista de Hollywood, escritor o monaguillo, los protagonistas de sus obras, todos tienen la presunción típicamente italiana de ser los mejores en todo lo que hacen, pero, por diferentes razones (el destino, el origen humilde, ser italiano y católico, por supuesto que no lo ayudaban) nunca pudo probarlo. ¡Después de todo, su padre Nicola Fante hubiera sido el mejor albañil de Denver... si, al menos, lo hubieran contratado para trabajar!

John Fante no logró el éxito internacional en vida. Pero no tenéis que pensar en el típico escritor bohemio que murió pobre y entre dificultades.  Quizá por el genio italico que corría por sus venas, con el tiempo, Fante tuvo éxito en el mundo del cine como guionista en Hollywood, y vivió una segunda parte de vida como un rico burgués americano, con una bella esposa, cuatro hijos, una villa de dos plantas en Malibù y un coche descapotable.


"Había ocho o nueve alrededor de una mesa cubierta de fieltro verde que había en el fondo. La baja bombilla iluminaba a cinco jugadores sentados, mientras el resto, de pie, miraba y hacía sugerencias. Mi padre estaba entre los mirones. Era un grupo de jubilados que vivían del subsidio, gruñones, irascibles, amargados, viejos cabrones endurecidos, renegones y más bien mezquinos, que disfrutaban con su ingenio cruel, su iconoclastia y su camaradería. Allí no había filósofos, ningún venerable oráculo que hablara desde las profundidades de la experiencia vital. No eran más que ancianos matando el tiempo, esperando que se les acabase la cuerda al reloj. Mi padre era uno de ellos."

"¡Bandini es un terrone!" (apodo despectivo con el que los italianos del Norte llaman a los del Sur, para indicar su carácter peleón y ruidoso) ¡Como todos los habitantes del Sur, Bandini es cabezota, arrogante, niño de mamá, mujeriego y bebedor, pero al mismo tiempo es una persona verdadera, generosa, instintiva y pasional! Es un profesional del arte de buscarse la vida y de la ostentación de su supuesto talento, del cual nadie tiene pruebas, pero del que está tan convencido que al final acaba convenciendo también al lector.

Como en un transfert, el lector acaba convencido más que por el estilo de Bandini, por el estilo de Fante, maestro de síntesis y elegancia. En la prosa de Fante las frases son cortas, sencillas y simples, y se suceden con un ritmo rápido, con algo que, a veces, suena como una sentencia. Leer a Fante es fácil. ¡Sus libros se pueden regalar tanto a un niño de 14 años como a un abuelo de 80 años, tanto a uno de esos lectores ocasionales que lee un libro al año, como a un estudiante de filosofía! ¡Leer a Fante es divertido, es ligero! Es enfrentarse al deseo de afirmación de toda una generación masacrada por dos guerras, el Crack del 29 y con las familias divididas por las primeras migraciones masivas. ¡Sin embargo, no creo que todos puedan leer a John Fante! No creo que se pueda entender por completo su obra si uno no ha tenido un testimonio directo o indirecto de algún tipo de migración.

"Era imposible volver a encontrar mi soledad después de que ella se fue, o escapar de su extraño perfume."

La Italianità de Fante no tiene nada que ver con el patriotismo, es más un sentimiento de rebelión. Fante ama profundamente la idea de la América mestiza como la tierra de los sueños, y odia profundamente a los estadounidenses que traicionan este ideal, que lo discriminan, que se ríen de él, ¡que le llaman dago! A la niña engreída y rica de su clase que ostentaba la noble descendencia de Mary Stewart, el pequeño Bandini le reprochó ser el bisnieto del bandido Mingo de Torricella Peligna. John acaba idealizando Torricella Peligna e Italia, tanto que se convierten en un refugio identitario mediante el cual defenderse y contraatacar!

Son divertidísimas las cartas desde Italia dirigidas a su mujer Joyce, en las que Fante habla sin filtros de sus viajes a finales de los años cincuenta y principios de los sesenta, de cómo su visión bucólica del Bel Paese choca y desaparece cuando llega en la Roma filoamericana en esos años, entre la Dolce Vita y el Boom económico. Como muchos otros, decidió no visitar Torricella Peligna durante su estancia en Roma, solamente para evitar el riesgo de sentirse decepcionado al no encontrar el pequeño mundo antiguo que animaba los cuentos de Nicola Fante. ¡Tal vez en esta no-identidad, en este ego que a veces se autocomplace y a veces se injuria, a veces italiano, a veces americano, a veces conservador, a veces democrático, y otras totalmente anárquico, está el éxito del personaje literario de Gabriel Arturo Bandini, único, verdadero y demasiado moderno también para nosotros!

Migraciones, guerras, segundas generaciones (o más bien nuevas identidades mestizas), la crisis económica y el desempleo resultante, todos son temas sobre los que, hoy,más que nunca, estamos obligados a pensar. Podéis imaginar, entonces, cómo treinta años después de su muerte, la voz de John Fante retumba fuerte a través de los millones de lectores de todo el mundo, que, como un precioso tesoro escondido, se han atrevido a descubrir y a amar uno de los más grandes escritores del siglo XX.

"Eres un cobarde, Bandini, un traidor a tu propia alma."

El lado que más admiro de Fante, y desde luego de Bandini, es su feroz autocrítica. De hecho, justo cuando John y Arturo, llegan a alcanzar sus sueños pronto se dan cuenta de que tal vez no era exactamente lo que querían en las frías noches de Colorado. Una vez conquistada la California, Fante empieza a fantasear con una nueva vida en Roma entre heladerías, Via del Corso y miles de pequeños automóviles Fiat pasando a todo trapo por callejuelas donde no pasaría ni un carro de mulas.


A pesar de que Bandini había sufrido el frío y el hambre en su juventud, la marginación por sus orígenes, y a pesar de que se encontró sin un duro durmiendo en los barcos abandonados en la playa, sus páginas más amargas son, sin duda, aquellas en las que Bandini viene contratado y pagado generosamente por un gran productor de Hollywood para no escribir (en "Los Sueños de Bunker Hill”). De hecho, Bandini amaba demasiado la vida para quedarse encerrado en una oficina, donde entre otras cosas no podía escribir nada que satisficiera ni a él ni a sus productores. "I can't get no satisfaction", como cantaban los Stones, acabará siendo el himno de la generación de los hijos de Fante, sin embargo, Bandini sentía que estaba perdiendo su talento, y lo único que podía hacer era meterse en problemas como seducir a las secretarias y a las agentes literarias. Así Bandini, a la manera de Francisco de Asís, lo deja todo, renuncia a su vida burguesa y se vuelve al austero cuarto de la pensión de Bunker Hill, la misma donde había llegado hacía unos años cuando dejó Colorado, con el mismo objetivo de entonces: escribir. La saga de Bandini termina justo en el momento en que el personaje literario y el escritor se enfrentan por primera vez delante de una máquina de escribir y de una hoja en blanco.

“Toda la noche nos la pasamos llorando y bebiendo, y pude decirte borracho las cosas que me bullían en el corazón, palabras impresionantes, símiles ingeniosos, porque llorabas por otro tipo y no oías nada de lo que te decía, pero yo me oía a mí mismo, y Arturo Bandini estuvo genial aquella noche, porque hablaba con su amor de verdad, que no eras tú ni Vera Rivken tampoco, sino sólo su verdadero amor.”


Aquí tenéis un extracto de ese momento, uno de los últimos párrafos que, en 1982, John, ciego y mutilado por la diabetes, dictó a Joyce, su mujer:

“Fui a la máquina de escribir y me senté. Mi idea era escribir una frase, una sola frase perfecta. Si podía escribir una buena frase podría escribir dos, y si podía escribir dos podría escribir tres, y si podía escribir tres, podría escribir eternamente. Pero ¿y si no me salía? ¿Y si había perdido todo mi hermoso talento? (..) Tenia diecisiete dólares en la cartera. Diecisiete dólares y miedo a escribir. Me senté muy tieso en la máquina y me soplé los dedos. Por favor, Dios mío, por favor Knut Hamsun, no me abandonéis ahora. Me puse a escribir y escribí.”


En memoria de John Fante, que nos enseñó que no importa si eres italiano, filipino, americano, un viejo verde, un quinceañero, un desesperado sin un centavo o un ricachón con una mansión en Malibú. Lo importante es seguir vivos: es tener una California para soñar y una Torricella Peligna para llevar dentro, siempre. 
Gabriele Nero