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08 December 2017

VENERE IN PESCI - Max Mohr

IL PRIMO LIBRO DI MAX MOHR TRADOTTO IN ITALIANO

TRADUZIONE: SARA FERRO WEIL


Berlino, anni Venti. Un medico, il dottor Quaß e una dottoressa in medicina, non abilitata, la signorina Otterloo, entrambi con rapporti di lavoro traballanti, si incontrano in occasione di un parto in una ricca villa dove, per un equivoco, prestano ambedue assistenza alla partoriente, non senza pestarsi i piedi. Fanno la conoscenza di uno strano personaggio, il dottor Abba, un americano di colore, antidiluviano, figlio di un cantante jazz, ricco di nascita,  apostata, matematico, astronomo, anzi no, indubbiamente astrologo, spregiudicato e con guizzi bipolari. Assieme finiranno per aprire alle porte della città una “clinica medico-astrologica“, fondata allo scopo di circonvenire, molto elegantemente, schiere di nuovi ricchi e tutta una varietà di appartenenti al bel mondo, che come stregati dal dottor Abba, a frotte aderiranno entusiasti all'impresa. Ed ecco sfilare davanti al lettore una serie di personaggi disparatissimi, i cui tratti caratteriali, molto peculiari vengono descritti con arguzia politicamente scorretta e messi a nudo con eleganza alludendo ai problemi sociali della Repubblica di Weimar. Ci si muove tra la satira costante, la parodia, il nonsense e l'invettiva sociale elegantemente scoccata, che col senno di poi, sembrano un oscuri e grotteschi presagi del Nazionalsocialismo degli anni a venire.

Max Mohr (1891-1937) fu uno scrittore di successo nel periodo tra le due guerre. Nonostante fosse medico di professione, cercò sempre nuovi spazi dove far crescere il proprio talento per la scrittura. Intrattenne una serie di amicizie letterarie del calibro di Karl Kraus, Heinrich e Thomas Mann, D.H. Lawrence. Medico da campo volontario nella Prima Guerra Mondiale, non abbandonò mai la professione ma allo stesso tempo divenne uno degli autori di teatro più in voga della sua epoca, dedicandosi anche alla narrativa. Di famiglia ebraica, intuita l’eventualità di cupi scenari, visto l’'esacerbato clima sociale e politico in Germania, prese già nel 1934 la via dell'esilio, stabilendosi in Cina. Nemmeno qui conobbe pace: il paese era sconvolto dalla guerra civile, dall'inizio del conflitto mondiale e dalla guerra sinogiapponese. A Shanghai sbarcò il lunario grazie all’attività di medico (non a favore della comunità tedesca, che come in patria, rifiutava i medici ebrei), poi nel 1937, la prematura morte d’infarto. In Germania, intanto i suoi libri ardevano sulle tristemente famose pire ariane.


"Ultimo a spingersi in uno scompartimento non fumatori del metrò di Berlino in direzione ovest fu un giovanotto con una grossa borsa valigia in nappa di maialino. Il vagone era sovraffollato, era giusto orario di chiusura per negozi e attività. Il vagone era surriscaldato, era un aprile caldo. Nella vettura erano stipati l'una contro l'altra molestandosi scambievolmente, quarantasette persone: dodici manifatturieri tessili, cinque signori del settore dei generi alimentari, quattro signori del ramo automobilistico, un alto funzionario statale e due di media statura, un parrucchiere, un docente di medio alto tedesco, un dentista, un giornalista, due camerieri, il giovanotto con la grossa borsa valigia in nappa di maialino, sei segretarie d'ufficio, una consorte di una certa età e due giovani, un'insegnante di ginnastica moderna, due zie zitelle, un'attempata individualista dalla provincia e tre amanti.

La carrozza in testa si mise in moto tirando in avanti per i tubi neri. Sopra il centro della città strepitante, sopra le luci elettriche del ventesimo secolo, sopra le prime luci celesti della giovane notte. Nel cielo del Sud trovavasi la costellazione del Leone a fornire asilo al lento Nettuno peregrino. Il Dragone sfrecciante nel cielo del Nord si inalberava di fianco al Piccolo Carro fino al margine della Via Lattea, per frantumarsi poi davanti alla placida e impavida Vega. Marte era coperto da una piccola nuvola solitaria e Venere era in procinto di tramontare, sprofondandosi là nel mare di lacrime dell'Ovest."

Max Mohr